25 NOVEMBRE: GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE - Emmetag

Con panchine rosse e con facciate dei palazzi istituzionali illuminate di arancione, il nostro Paese ha inteso celebrare il 25 novembre, vale a dire la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, cui sono state dedicate numerose manifestazioni, in tutta Italia.

Ed infatti, nell’ambito di tale giornata, istituita, nel 1999, ad opera dell’ONU, allo scopo di richiamare l’attenzione, in merito ad una sistematica violazione dei diritti umani, non si è mancato di evidenziare che, sminuire il valore di una donna e non riconoscerne i meriti, con linguaggi inappropriati e con atti discriminatori, concorre ad alimentare un clima di violenza; per contrastare il quale, ciascuna donna non deve sentire lontane – si è detto – le istituzioni politiche, sociali e giuridiche. Pertanto, occorre adoperarsi nella prevenzione, nel sostegno delle vittime e dei loro figli, nel reperimento delle risorse e nell'elaborazione di ciò che serve per intercettare e per fronteggiare i segnali del maltrattamento delle donne.

Il bilancio dei femminicidi, poi, mette in luce una raggelante e intollerabile mattanza di genere. Una violenza che va combattuta attraverso la formazione, la prevenzione e il contrasto a qualunque atteggiamento di sopraffazione, da quello fisico a quello psicologico. Nessuna misura giuridica o amministrativa potrà spiegare piena efficacia, se non accompagnata da un impegno altrettanto incisivo, sotto il profilo educativo. Le norme giuridiche non sono sufficienti, laddove le menti non cambino.

Tuttavia, la mobilitazione ha avuto come filo conduttore quello della violenza economica, cioè una tra le forme più subdole di aggressione e di ricatto. In un Paese, in cui una donna su due non lavora; in cui, alla nascita del primo figlio, il 30% delle madri abbandona o viene costretta ad abbandonare la sua occupazione; in cui, successivamente ad una separazione, il 60% delle "ex" si ritrova nell'indigenza, orbene, in un Paese simile, il ricatto economico, di mariti e di partner, è divenuto un'emergenza di natura sociale.

La sudditanza economica, che tiene le donne in condizioni di libertà negata, è, spesso, all’origine della violenza fisica. Ogni 15 minuti, si registra un episodio di stalking o di maltrattamenti. E sono 96, dal primo gennaio, le donne uccise da fidanzati, da mariti e da compagni. Una, ogni tre giorni. Spesso, vittime di uomini che le considerano loro proprietà, non di rado, rimaste senza tutela, malgrado denunce reiterate. Mentre si calcola siano circa 2mila gli orfani dei femminicidi. Una tragedia nella tragedia è quella delle famiglie obbligate a crescere, in solitudine, questi bambini, in quanto la legge, varata in loro difesa, è rimasta lettera morta, a causa della mancanza dei decreti attuativi e del blocco dei fondi.

Del resto, il Codice rosso, sorto a salvaguardia delle donne vittime di violenza domestica, fa registrare il raddoppio delle denunce, ma divide i Tribunali, perché se, per un verso, ha inasprito le pene e ha introdotto nuove tipologie di reato, come il revenge porn, per l’altro, intasa le Procure, con l'obbligo di ascoltare, per due volte, la vittima, entro 72 ore dalla notitia criminis. Anomalia, questa, che, di frequente, risulta essere dolorosa, anche per le stesse vittime. E fa dire ad avvocati e a magistrati, scettici su una riforma a costo zero e a risorse invariate, che, se tutto è urgente, allora nulla lo è davvero.

La lotta alla violenza – si è ripetuto – deve muovere, perfino, dagli asili nido, dal momento che la prevaricazione è il risultato di una cultura ancora intrisa di pregiudizi, per estendersi al potenziamento della rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio, presidi sul territorio, da non lasciare soli, nella loro diuturna battaglia.

Comunque, gli uomini – liberi dalla generazione – hanno sempre, nel corso della storia, giocato, dapprima, con gli animali, nelle imprese di caccia, poi, con le guerre, per l’esercizio della potenza, quindi, con gli dei, inventando miti e narrazioni, di seguito, con le idee, producendo storia e cultura, infine, col denaro, per conquistare agi e privilegi. Alle donne, hanno lasciato il compito della generazione, unitamente alla crescita dei figli, nel chiuso della casa, in cui era impedito loro di fare società.
Tutto ciò, è da sempre, in ogni cultura. Questa differenziazione, che relega la donna nel ciclo della natura e che conferisce, all’uomo, il gioco della storia, è alla radice della falsa “superiorità” dell’uomo sulla donna, con conseguente esercizio della potenza, non disgiunta dalla violenza, che, in tutte le culture, ha sempre caratterizzato una diversità assai più radicale di quella di classe, ovverosia anche una sottomissione.

E da noi? Da noi, questo si verifica sotto le sembianze di una maggior eleganza, che non sottrae la donna al regime della sottomissione o, comunque, della dipendenza, se non sempre economica, quasi sempre psicologica, dalla figura maschile. E ciò perché, mentre l’uomo è solitamente una "identità", che instaura relazioni, per lo più, in campo maschile, dove persevera nel giocare alla guerra, nella forma della competizione, la donna è tendenzialmente "relazione", da cui ricava il suo riconoscimento e, quindi, la sua identità.

Il due (la relazione) rappresenta l’elemento costitutivo del femminile. Che consente alla donna di prendersi cura dei figli, secondo modalità sconosciute all’uomo, nonché di sedurre gli uomini, con forme di fascinazione sorprendenti.

Come può avvenire un riscatto della donna? Non solamente mediante un processo di emancipazione sociale, economica, giuridica ed una rivendicazione di uguaglianza, che, da noi, potrebbe significare imitazione dello stile di vita maschile, con progressiva negazione della specificità femminile, fatta salva la seduzione; ma anche, e massimamente, in forza di una maturazione antropologica, che si verificherà quando, esausti dall’affermazione della loro identità e dagli sforzi richiesti per confermarla, gli uomini cominceranno ad accorgersi che la gioia e la felicità originano dalla relazione, di cui la donna è, per natura, la custode e l’interprete.

Occorre catturare questo segreto e, dunque, scoprire che cos’è davvero il femminile, perché v’è gioia non nell’io, e nella sua esasperata autoaffermazione, ma unicamente nella relazione, che è il linguaggio tipico della donna, con cui l’uomo deve confrontarsi e di cui deve imparare l’alfabeto.

parole di Antonio Calicchio

scatto tratto dal web