ARTE E MODUS VIVENDI - Emmetag

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Spesso, capita che quando si giri lo sguardo all’interno delle grandi metropoli del mondo, come Roma, New York, Londra etc. o in qualsiasi altro angolo dell’Universo, ci si possa imbattere in percezioni e sensazioni create da atteggiamenti, sguardi ma soprattutto da qualcosa che rende particolarmente uniche ed imponenti le grandi mete turistiche: l’arte.

Essa, come ben sappiamo è lo specchio di una società, lo impariamo sin da piccoli che dal primo passo dell’uomo sulla terra, l’arte ha bisogno di uscire dal proprio fare ingegnoso. Si ha la necessità di voler mostrare come si vive, cosa si osserva, cosa si tocca e come rappresentare il tutto.

Questa forma espressiva innata, non è altro che dinamicità con la quale tutto ciò che osserviamo e viviamo, si amalgama attraverso il nostro estro creativo.

Ci sarebbero, dunque, tante città di cui si potrebbe far nome per affrontare tale argomento, ma per rimanere in un ambito più ristretto, per questo però non poco rilevante, si è scelto di parlare di una delle più grandi città d’Italia, la famosa città partenopea di Napoli, molto probabilmente anche perché è uno dei migliori esempi che si possa fare per rappresentare con efficacia, da un lato uno stile di vita trasparente e dall’altro il senso dinamico dell’arte che si mesticano contemporaneamente.

Neapolis, così come la chiamarono i greci alla sua nascita, avvenuta intorno alla metà del VII sec a.C., è una città che si radica attraverso molteplici culture, come quella spagnola, quella normanna, quella francese e per l’appunto anche quella greca, dalla quale eredita il gusto del bello e del buono, ed in particolare anche una precisa filosofia del vivere: la cosiddetta arte dell’arrangiarsi, che spesso le si attribuisce in un’accezione negativa, ma che piuttosto potrebbe essere vista come l’arte di essere felici, le cui ragioni più profonde e radicate, restituiscono un’ immagine di questo “modus vivendi” certamente più positiva. Di fatti, il napoletano si avvicina all’epicureismo, da Epicuro, filosofo greco che ci rende partecipi della filosofia dei 4 farmaci:

  1. Liberare gli uomini dal timore degli dèi;
  2. Liberare gli uomini dal timore della morte dimostrando che essa non è nulla per l'uomo dal momento che "quando ci siamo noi, non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo noi";
  3. Dimostrare l'accessibilità del limite del piacere, ossia la facile raggiungibilità del piacere stesso;
  4. Dimostrare la lontananza del limite del male, cioè la provvisorietà e la brevità del dolore. Epicuro, infatti, divide il dolore in due tipi: quello sordo, con cui si convive, e quello acuto, che passa in fretta.

Lo diceva anche lo scrittore, regista, attore e conduttore televisivo partenopeo, Luciano De Crescenzo, in Così parlò Bellavista: “Noi siamo epicurei, noi ci accontentiamo di tutto, purché questo poco ci venga dato il più presto e possibile…” ecco, poco ed il più presto possibile.

Questo modus vivendi, sempre più fertile, ha stimolato ed influenza ancora oggi artisti affermati in ogni campo, come pittori, poeti, cantautori etc. Un primo esempio potrebbe essere quello di Giacomo Leopardi; Napoli, infatti, è stata una delle poche parentesi più felici della sua vita, segnata principalmente, come ci è noto, dal suo pessimismo cosmico.

Con la città, ebbe un rapporto altalenante, caratterizzato da odio e amore. Inizialmente preferiva passeggiare, assaporare i piatti tipici, amava l’allegria e la spensieratezza della gente che popolava le strade. Col passare del tempo, però, e del peggiorare della sua salute, cominciò a provare odio per la stessa città che prima gli aveva giovato fisicamente ed emotivamente, affermando fosse caotica e insopportabilmente chiassosa. Ma ricordiamo, che egli scrisse in quel periodo diverse opere, tra le quali una delle più famose, “La Ginestra”, opera lirica nella quale l’autore, sviluppa l’aspra critica nei confronti del tempo in cui è costretto a vivere. L’input gli viene dato dalla vista della ginestra, un delicato fiore che vede crescere sulle pendici del Vesuvio, lì dove città ed esseri umani sono stati distrutti dalla crudeltà della Natura che non si cura dei propri figli.

“Mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Ma anche per l’energia che ribolle dovunque, in ogni angolo della città”.

Cit. Andy Wahrol

Così affermò Andy Wahrol, l’artista che diede vita alla corrente artistica della Pop art, quando giunse a Napoli intorno al 1975, in compagnia di Lucio Amelio, artista, gallerista e collezionista di arte partenopeo, conosciuto a New York e che lo invitò proprio nella sua città.

Warhol adora i vicoli della città di Napoli e famose sono le Napolaroid, foto scattate dall’artista che va in giro per la città, con appunto la sua inseparabile Polaroid. Scatta diverse foto, tra cui una donna che si mette in posa con lui, una macchina nel traffico, la torre della spiaggetta di Giuseppone a Mare, gente che attraversa la strada. Insomma, Napoli ed il suo modo di vivere catturano il re della Pop Art in numerose forme. L’opera più grande che gli permette di esprimere a pieno questa forza viscerante e tranquillità apparente,è appunto il suo Vesuvio. Un ricordo che lega in maniera molto inesorabile Warhol a Napoli è Fate presto, un monumento nato all’indomani del terremoto in Irpinia del 1980.

Lucio Dalla, il cantautore bolognese tanto amato e che amò altrettanto Napoli alla follia, scrisse una delle sue più belle canzoni napoletane, che oggi ancora ci capita di ascoltare passeggiando fra il centro storico e i vicoli, in casa o in macchina, “Caruso”,ispirata alla storia degli ultimi giorni del tenore Enrico Caruso.Tante volte si è trovato a ribadire la sua passione smisurata per la città di Partenope: «Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno di sognare di essere a Napoli. Sono dodici anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolo, con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse 200.000 euro io me la farei, per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni». Napoli è il mistero della vita, bene e male si confondono, comunque pulsano.

Gli artisti più o meno conosciuti, da Dalla a Warhol, da Leopardi a De Crescenzo, da Totò a Pino Daniele ed ai più giovani come Jorit e tanti altri, sono coloro che hanno gioito, pianto, amato ed odiato incondizionatamente quando si sono trovati a toccare con mano, respirare ed osservare come una sola e grande città con la sua società, la sua particolare cultura e i suoi modi di “arrangiarsi”, possono incidere profondamente sulle personali ispirazioni creative.

parole di Vincenza Topo

scatti tratti dal web