UN FUNAMBOLO SI MUOVE PIANO INTERVISTA AD ARIA CARELLI - Emmetag

Un funambolo si muove piano, sospeso nel vuoto, su un filo legato chissà a cosa: forse alle stelle, forse ai sogni, forse è un filo tirato fuori da un groviglio di pensieri… 
Nasce oggi un’intervista che è un incontro di emozioni, una conoscenza, un confronto tra chi osserva e chi crea, tra chi vive coi piedi per terra e l’artista, che forse i piedi per terra non li poggia mai. Questa intervista è, dunque, un lungo volo nella spazio infinito dell’immaginazione…

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Oggi siamo astronauti, quindi mettevi comodi e lasciatevi trasportare nel meraviglioso universo delle opere di Annamaria Carelli, in arte Aria.

D: Parlaci delle tue origini, dove vivi e di cosa ti occupi…
R: Le mie origini sono Cilentane. Il mio paesino, Celle di Bulgheria (in provincia di Salerno ndr), nasce ai piedi di un monte chiamato “il leone che dorme”. Vivo a Milano da 11 anni, dove lavoro come product designer in un’agenzia di comunicazione e pubblicità.

D: Da cosa nasce la scelta del nome “Aria”?
R: Aria è una parole che ho trovato un giorno nel mio nome. Quando me ne sono accorta ho pensato “se può sorprendermi dopo 30 anni il mio nome, forse dovrei iniziare a pretendere da me stessa tante altre sorprese”.

D: Come ti sei avvicinata al mondo dell’arte? E quando hai deciso che questa sarebbe stata la tua dimensione?
R: Non ricordo un momento unico in cui ho deciso. Mi capita di deciderlo almeno 9 volte al giorno, ogni giorno. Perché se ascolto una canzone che mi emoziona, voglio rispondere a quella bellezza con un disegno, così come se vedo una bella scena per strada, se leggo una pagina di uno scrittore che ammiro, se mi annoia fare qualcosa, penso sempre che in quel momento avrei potuto dipingere. L’arte è l’antidoto più efficace proprio contro uno dei miei peggiori nemici: la noia.

D: Ogni artista è un po’ Dr. Jekyll e Mr. Hyde… nel tuo caso, Annamaria e Aria in cosa si somigliano e in cosa sono diverse?
R: Si somigliano nei difetti ma Aria è la parte più coraggiosa di Annamaria.

D: Se non avessi intrapreso questa strada, quale sarebbe stato il tuo “Piano B”?
R: io dipingo nel tempo libero, nel week end, la sera, la notte, quindi penso che qualsiasi altra strada avessi intrapreso, qualunque piano B avessi dovuto scegliere, poi, tornata a casa, senza dover rendere conto a nessuno, mi sarei comunque messa a disegnare.

D: Le tue opere sono leggere, quasi oniriche… A cosa ti ispiri?
R: mi ispiro alle possibilità che offre un foglio. Puoi disegnarci una persona in punta di piedi su una fune e puoi lasciarla lì sopra per sempre, oppure un uomo con la barba colorata, un pesce in bicicletta, una ragazza distesa in un libro a leggerlo. Insomma mi ispiro a tutte le cose che pretenderei dalla realtà se non esistessero i fogli.

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D: che cosa desideri trasmettere al pubblico che le osserva?
R: non mi pongo mai questa domanda, ogni volta che inizio un disegno è perché mi scappa, come uno sbadiglio, devo farlo. Esattamente come quando scrivo sulla Moleskin (agenda ndr) i pensieri della giornata, magari poi li rileggo dopo anni, o forse mai più, ma intanto non posso evitare di scriverli, come quando aggiungo una parola al “quaderno delle parole belle”, o come quando sottolineo nelle pagine di un libro. Lo faccio per non perdere delle cose che ritengo preziose. Non ho nessuna aspettativa su cosa potrà arrivare a chi osserva, la considero un’imprevedibile sorpresa.

D: Parlaci un po’ della tua ultima mostra
R: Lo scorso anno ho iniziato a togliere dalla cartelletta i disegni fatti, per portarli ad incorniciare. Può sembrare un passaggio scontato ma non lo avevo previsto. Significa esporre, dare un seguito a quello sbadiglio di cui parlavo. Una volta riempito il mio muro, ho voluto provare a riempirne altri. E così lo sbadiglio è diventato scambio. Non è un caso che ci si contagi di sbadigli. L’ultima mostra è in corso a Bruxelles, in un caffè letterario, Piolalibri. Si intitola “quasi non esiste”. In questo titolo c’è una sottilissima contraddizione. Si può “quasi non esistere”? io rispondo con i miei quadri a questa domanda. Rispondo soprattutto con l’uomo con il cappello.

D: un aggettivo per descrivere la tua produzione artistica:
R: Poetica

D: quale apprezzamento ti ha dato maggiore soddisfazione e quale critica è stata la più difficile da “digerire”?
R: “Penso a quanto questi disegni mi somigliano nell’animo” è di sicuro il commento che per me vale di più in assoluto. Il più fastidioso, invece, quello di un signore che voleva comprare un quadro perché i colori si abbinavano al suo salotto, ma pretendeva gli cambiassi all’istante una cornice scelta da me e fatta fare su misura. Mi ha detto: “ma chi l’ha scelta questa cornice? Non c’entra niente col quadro, non capisce niente” E “casa mia è minimal, di design, tutto bianco, non ci sta bene!” . Ah… e continuava a chiamarle stampe. Ovviamente ci ho tenuto a non vendergli nulla. Scelgo le cornici con la stessa attenzione con cui scelgo il tratto e i colori, e scelgo anche chi non le merita.

D: Attualmente la tua collezione di compone di quante opere e dove è possibile trovarle?
R: non tengo il conto, soprattutto perché da un giorno all’altro se ne aggiungono anche due. Molte sono a Bruxelles da Piolalibri, altre sono in una galleria di Milano, Pisacane Arte in via Pisacane. Altre le ho regalate ad amici speciali che spesso le hanno ispirate. Quelle da cui non mi separerò mai, sono sul mio muro.

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D: Qualche ultima domanda su di te… facciamo un gioco: Se potessi viaggiare nel tempo cosa diresti all’Annamaria del futuro e a quella del passato?
R: A quella del futuro direi che è bello lo studio luminoso in cui dipinge ogni volta che vuole, senza aspettare i ritagli di tempo, in cui taglia e assembla da sé le cornici, in cui ogni mese organizza un concertino con i quadri di sfondo, con gli amici di sempre e tanti nuovi. A quella del passato dico che ha fatto bene a darsi da fare e a costruire giorno per giorno l’idea dello studio luminoso, pieno di musica e amici.

D: Se potessi parlare con un artista, che sia ancora in vita o meno, chi sarebbe e perché?
R: Sarebbe un artista della parola: Erri De Luca. Tra le sue pagine riconosco i quadri che vorrei fare. Ho in programma di ridisegnare le copertine dei suoi libri che amo di più, staccare quella che c’è e metterci quella che ho pensato per lui. Incollarla a mano. E sperare di disegnarne una ufficiale, un giorno. Per ricambiare tutta la bellezza che mi ha trasmesso.

D: Su un pianeta, in una galassia lontana, vi sono esseri viventi simili a noi, che non hanno mai visto un quadro. Una navicella spaziale può consegnare loro solo 3 delle tue opere: quali sceglieresti e perché?
R: Sceglierei “Spine” per fargli un riassunto del concetto di amore. Poi “Piano” perché se non hanno mai visto un quadro, potrebbero non aver mai sentito la musica, e voglio che sappiano che esiste. La terza è un foglio ruvido e nuovo.

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D: Due ultime domande per concludere questa intervista: la tua famiglia ha appoggiato e sostenuto le tue scelte?
R: La mia famiglia fa parte delle mie scelte, ha sostenuto queste, ma sono sicura che ne avrebbe sostenuto qualunque altra, per il semplice fatto che fosse mia.

D: Cosa senti di dire a chi mette piede per la prima volta nel mondo dell’arte?
R: Di farlo con delicatezza, impeto, rispetto, rabbia, passione, tormento, sete, insoddisfazione, coraggio, pigrizia, fretta e ricerca. Di farlo ogni volta che la logica delle certezze e della razionalità ci inchiodano.

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Intervista a cura di Anna Maria Bortone

Opere e scatti di Annamaria Carelli