SALIRE A CAMEROTA - Emmetag

Camerota è un paese tra mare e montagna, abitato da poco più di mille anime. Vive gli affanni ed i disagi dei tempi nostri con la sua gente, che è gente semplice e, a tratti, d’altri tempi.

Alcuni la considerano la succursale della vicina Marina, frazione che traina una economia principalmente basata sul turismo estivo. E il turista, si sa, si crogiola al sole sulle spiagge (che pure sono meraviglia), senza salire a Camerota.

Salire a Camerota significa entrare in una dimensione che fa grandi le piccole cose.

Il festival della canzone, i giochi estivi e i mercatini invernali.

Significa musica, che è mezzo di sostentamento e fine ultimo di tutte le cose. Cori su cori, un pianoforte ed il talento in ogni casa.  

Aggregazione e divisione, perché Camerota è patria del cameratismo e di legami indissolubili. Di associazioni che nascono come funghi e seminano progetti ed entusiasmo. Dissapori, di tanto in tanto. Salire a Camerota significa vedere la villetta, San Daniele ed il Castello: entrarci dentro, buttarsi nella storia; significa scendere al tulo ri vascio e dissetarsi da quella fonte che era un lusso ieri e, quando l’acqua manca, è un lusso pure oggi.

Pietre miliari, in senso figurato e non, che fondano un senso d’appartenenza e una sensazione difficile da tradurre in parole, l’idea del tempo che scorre lento, scandito dal passo di un asinello sopravvissuto al progresso, che ancora, nei giorni caldi, fa la sua comparsa per le strade, col padrone orgoglioso in groppa. Significa parteggiare per il proprio rione con la foga di un ultrà per la sua squadra in finale di Champions League: discutere le ore su quale piazza sia la più bella, la più viva, la più forte, salvo poi compattarsi quando si tratti di difendere o esaltare il paesello unitariamente considerato. Salire a Camerota significa abbracciare l'idea che un valore immateriale possa preferirsi alla mondanità, che il ragù della domenica sia la migliore ricompensa per il lavoro della settimana. Che si possa essere felici con una passeggiata o poco più, perché tra i vicoli e i larghi intrisi di antico c’è sempre qualcosa di nuovo per cui meravigliarsi: un odore, un colore nuovo, una prospettiva, anche solo una nuova sensazione.

Significa subire un tempo amplificato, perché, se fa freddo, qui è freddo un pò di più e se c’è vento, qui soffia un pò più forte; ed evoca miti e racconti trapassati vicino a un caminetto, dall’incipit classico della notte buia e tempestosa. Camerota è i suoi anziani, con una storia di guerra e fame sempre pronta ad essere raccontata.

È il suo patrono, San Vincenzo, che ogni anno, a luglio, inchioda una folla commossa per la celebrazione.

È il suo dialetto e i patronimici di intere generazioni.

È l’entusiasmo dei suoi giovani che, un decennio dopo l’altro, approcciano uno strumento musicale, sapendo, prima ancora di cominciare, di avercelo nel sangue.

È un paese come, probabilmente, ce ne sono tanti, ma con l’anima di pochi. Con gli ulivi verdi che sanno di casa e il mare trecento metri sotto. Il pane arrostito per merenda e le polpette di patate fritte che fanno gola pure a colazione. È, secondo il mito, una donna bella e dal cuore freddo trasformata in roccia da spietate divinità pagane; preda dei sacchi turchi e francesi, casa di marchesi più o meno giusti.

È tanta storia da tramandare, gusti forti e radici.

Camerota è stata molte cose, tutte capaci di conquistare chi scelga di salire.

parole di Emilia Volpe - testo tratto dal Libro di Enzo Landolfi 158 comuni ricette e filmati Salerno provincia di gustare, edito da Printart edizioni

scatti di Pietro Avallone